Dr. Paolo Lops

Costruendo il futuro, insieme

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Domotica

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A mio Padre

che mia ha fatto muovere i passi lungo le strade della vita

... mamma

Così ti ricorda mamma.


A mio padre


Ciao Papà,ti dedico queste pagine, questi minuti trascorsi nello scriverle.Cercherò di raccogliere i miei pesieri, condividerò con te in ‘modo virtuale’ le mie esperienze.Ti racconterò di Giacomo e Davide e Arianna.Continueremo assieme il percorso stupendo della vita che tu mano nella mano mi hai mostrato e insegnato a seguirlo.E’ trascorso un’anno da quando non sei più qui e mi manchi.Non bastano le lacrime o le goccie di sudore che scorrono sul viso per dar sfogo alle emozioni.Vorrei gridare forte per cercare di farmi sentire da te.Vorrei poter rivivere il tempo trascorso accanto a te. Mi manchi!

Ogni sera io Giacomo e Davide nelle nostre preghiere cerchiamo il tuo contatto.Papà risento la tua voce, sfoglio i tuoi libri guardo le tue cose e non riesco a farmene una ragione.Lo so è la vita ma ti voglio un bene pazzesco e non poterti sentire vicino mentre saldo un filo o stringo una vite o quando avrei “bisogno” del mio PAPA’ per affrontare i problemi mi strazia il cuore.Ti voglio bene.

Così ti ricrda Mamma

Archimede e le api
Fra le varie attività svolte da Archimede ve ne erano alcune legate direttamente o indirettamente al suo lavoro altre invece che spaziavano in vari campi come la falegnameria, la meccanica, l’idraulica, l’agricoltura che erano i suoi hobby. Non esistevano per lui ore di ozio.Nel periodo in cui era stato sottufficiale (si era negli anni ’50) aveva avuto la fortuna di essere assegnato ad un laboratorio di precisione presso il Ministero della Difesa a Roma e lì aveva conseguito la specializzazione in elettronica che gli aveva permesso di lavorare nelle industrie alimentari fino a quando decise di dimettersi dall’esercito. In un laboratorio di precisione si impara che per tenersi aggiornato non basta la pratica ma occorre continuare a studiare e lui ha sempre studiato. I suoi dirigenti lo stimavano anche perché a quei tempi, mentre le grandi industrie introducevano negli stabilimenti le macchine elettroniche, la maggior parte della gente ignorava l’esistenza di questa scienza.Fra i vari hobby di Archimede c’è stata anche l’apicoltura.Avevamo un oliveto a Bisceglie e poiché erano stati spiantati più di 200 alberi di mandorlo divenuti vecchi, decidemmo di piantare in quei vuoti i ciliegi che in Puglia producono ciliege di ottima qualità. Inoltre avevamo recintato il fondo con una siepe di rosmarino il cui fiore è visitato dalle api. Archimede quindi pensò di introdurre le api che avrebbero favorito l’impollinazione dei ciliegi.La prima preoccupazione fu quella di capire dove poter comprare le api.Un amico, professore universitario e apicoltore nel tempo libero, gli dette le istruzioni necessarie per incominciare e gli promise di regalargli uno sciame appena disponibile.Quindi Archimede comprò un’arnia, dipinse di azzurro la facciata avendo appreso che è il colore preferito dalle api, preparò i telaini con i fogli di cera su cui le api avrebbero costruito le loro celle e appena ricevette la telefonata che gli annunciava che lo sciame era pronto andò a prelevarlo. Naturalmente tutta la famiglia incuriosita lo seguì. La nostra emozione fu grande nel vedere quella popolazione costituita da circa 15.000 api aggrappate le une alle altre pendere da un ramo. Non avevamo mai visto nulla di simile.Il professore depose l’arnia a terra e con l’affumicatore (è un mantice nel cui interno viene posto del materiale che bruciando emette fumo) cominciò a spingere le api verso l’arnia. L’operazione richiese molta pazienza perché le api non volevano allontanarsi dallo sciame e si concluse dopo circa un’ora quando finalmente si riuscì a far entrare nell’arnia l’ape regina. In quel momento tutte le api corsero verso la loro nuova casa e si spingevano l’una con l’altra quasi come in una gara in cui ognuna cercava di arrivare prima. Nessuna voleva stare lontana dalla madre senza la quale avrebbe vagato orfana e senza meta disperdendosi.Finalmente Archimede possedeva uno sciame.Quindi mise il prezioso carico in macchina ed esultanti ritornammo nel nostro oliveto dove lo sistemò vicino ad una siepe di pittosporo. Solo in seguito riflettemmo sull’incoscienza con la quale avevamo affrontato quel viaggio di ritorno. L’arnia era stata chiusa in modo empirico e depositata nel bagagliaio. Sarebbe bastata una frenata brusca per provocare un movimento che avrebbe potuto permettere alle api spaventate di uscire dall’arnia. Per noi sarebbero stati guai seri perché le api sono buone solo con chi le sa trattare e rispettare.Più volte abbiamo dovuto subire la loro puntura perché involontariamente abbiamo commesso qualche errore scatenando l’ira della malcapitata. Per fortuna col tempo si viene a creare una specie di immunità alle loro punture che diventano meno dolorose. Si dice che che il veleno iniettato dalle api faccia passare i reumatismi per cui ci consolavamo con questo pensiero,Archimede sistemò l’arnia nella zona che sarebbe diventata l’apiario, aggiunse i telaini e si sedette a qualche metro di distanza per osservare l’andirivieni delle api. Eravamo tutti incuriositi e devo dire che la loro presenza cambiò alcune nostre abitudini: tutti noi, compresi i bambini, ci muovevamo con calma e senza urlare per non recare disturbo al lavoro delle api. Insomma noi ci adattammo alle api e le api si adattarono a noi.Di tanto in tanto io aprivo con precauzione l’arnia mentre Archimede azionava l’affumicatore, per vedere a che punto era la costruzione dei favi e controllare la covata ansiosi di assaggiare il nostro miele.Una sera assistemmo all’ingresso nell’arnia di una grossa farfalla conosciuta col nome di “sfinge testa di morto” per via di un disegno simile a un teschio sul suo addome. Invano le api cercarono di scacciarla. A questa farfalla piace il miele, ma una volta mangiato si ingrossa e non riesce ad uscire dall’arnia. Quando andammo a verificare cosa era successo la trovammo morta e imbalsamata con il propoli perché le api, non potendo portarla fuori essendo grossa e pesante, mummificandola evitano la sua putrefazione con conseguenti danni alla propria famiglia.Fu per noi una grande scoperta. Cominciammo a pensare che le api sono intelligenti così come lo era il nostro pastore tedesco che raccoglieva le pietre con noi e le posava nel mucchio allontanandole dal campo ed il nostro gatto siamese che aveva imparato a giocare a nascondino con i bimbi.Come si possono definire tali comportamenti degli animali se non intelligenti? So bene che gli scienziati arriccerebbero il naso e darebbero altre definizioni ma per noi i nostri animali erano intelligenti e basta: le definizioni scientifiche non ci interessavano.Abbiamo fatto con le api tante altre scoperte e più passava il tempo e più Archimede si appassionava a loro e noi le amavamo.L’unica persona scontenta era il contadino che ci dava una mano nei lavori dell’oliveto. Avendo paura delle api ci chiedeva di portarle via. Si spaventava moltissimo quando vedeva uno sciame pendere da qualche ramo. Le avrebbe distrutte volentieri ma, per fortuna delle api, la paura gli impediva di prendere qualunque decisione a tal proposito e girava al largo nella totale indifferenza delle api che di lui non si preoccupavano essendo nelle loro faccende affaccendate.Infatti continuavano ad andare sui fiori e a ritornare con il carico di nettare che avrebbero trasformato in miele o in pappa reale o in cera o in propoli. La regina intanto continuava a deporre le sue uova nelle cellette, le api le ricoprivano di miele e poi le opercolavano, cioè le sigillavano con la cera.Essendo l’ape regina diventata vecchia le operaie cominciarono a predisporsi per la nascita di una nuova regina. Imparammo allora che le api, per garanzia, fanno nascere contemporaneamente più regine ma che la prima ad uscire dalla cella si preoccupa subito di uccidere tutte le altre. Se qualcuna sfugge a questo eccidio, appena nata sciama con una piccola corte di api operaie e di fuchi.Garantita la continuità della famiglia, le api cominciarono a riempire il magazzino e a fare scorte di miele per l’inverno quando la fioritura scarseggia e i viveri mancano. L’apicoltore preleva il miele da queste scorte e lascia intatta la covata.Finalmente arrivò il momento tanto atteso della raccolta del miele.Archimede comprò una piccola centrifuga a manovella perchè nel nostro oliveto non era ancora arrivata la corrente elettrica. Quindi, lui baldanzoso, a dorso nudo e pantaloncini corti, con l’affumicatore in mano, io, più timorosa, riparata da tuta e maschera, aprimmo l’arnia e prelevammo i nove telaini pieni di miele che immediatamente portammo al riparo in casa. Li mettemmo in centrifuga e con grande soddisfazione vedemmo schizzare fuori dalle celle quella delizia che si chiama miele. Il suo profumo ci inebriava mentre i bambini esaltati vi immergevano le dita per assaggiarlo e facendo intorno un chiasso indiavolato. Non riuscivamo a tenerli fermi.Estratto il miele riponemmo i telaini nell’arnia ed immediatamente le api si misero a riparare i danni da noi commessi e ricominciarono a ricostituire le loro provviste.Se la fioritura è abbondante nell’arco di un anno si può raccogliere più volte il miele. Nelle zone calde e aride della Puglia dove la fioritura in estate scarseggia lo si può prelevare al massimo due volte dalla stessa arnia.Archimede versò il miele filtrato nei vasetti precedentemente sterilizzati e li dispose in fila nella nostra dispensa. La provvista delle api era diventata la nostra provvista.Non abbiamo mai più mangiato il miele con tanto gusto come allora. Eravamo nella stessa condizione di esaltazione in cui si trovano i contadini quando dopo un anno di cure e di preoccupazione finalmente raccolgono i loro frutti. E’ una sensazione che può immaginare solo chi l’ha provata. Quel miele ci ripagava anche per qualche puntura che per nostra imperizia non eravamo riusciti ad evitare.Infatti per avvicinarsi con sicurezza alle api basta disporre di un affumicatore. In presenza di fumo le api, che temono assai il fuoco, corrono a riempirsi di miele e non si curano di quanto avviene intorno. L’apicoltore allora può aprire con sicurezza l’arnia per le cure del momento. Se poi si indossano una tuta bianca, una maschera, guanti e stivali la sicurezza è totale.Negli anni successivi abbiamo assistito più volte al formarsi degli sciami che abbiamo raccolto con pazienza arricchendo il nostro apiario, abbiamo assistito con emozione rinnovata al volo nuziale ed al ritorno della regina fecondata, abbiamo visto come le api tengono pulita la loro casa, come la rinfrescano nelle giornate afose, come scacciano i nemici ingaggiando furiose battaglie.Quando il melario, cioè il magazzino delle api era pieno Archimede prelevava il miele. Dalle nostre arnie si raccoglievano complessivamente circa 20 kg di miele all’anno che destinavamo a strenne di Natale.Archimede riempiva alcuni scatoloni con le mandorle da noi prodotte ed in mezzo vi poneva un grosso barattolo di miele. Quindi li adornava con un bel fiocco rosso e li regalava a parenti e amici che mostravano di gradire questo insolito dono.Purtroppo un giorno ci giunse la notizia che dall’Est asiatico stava inesorabilmente avanzando un acaro noto col nome di “varroa” che decimava gli alveari. La varroa depone le uova nella stessa cella in cui è presente un uovo di ape. La larva dell’acaro si nutre della linfa della larva dell’ape per cui in breve tempo tutta la covata viene distrutta e l’intera famiglia si indebolisce e finisce con l’estinguersi.Ricordo bene il giorno in cui Archimede ritornò a casa scuro in volto perché le nostre api erano state vinte dalla varroa e le famiglie si erano estinte. Se voleva continuare a fare l’apicoltore avrebbe dovuto cominciare daccapo e avrebbe dovuto impostare il lavoro su altre basi per combattere la varroa. Ma la voglia gli era passata.Anche la nostra famiglia subiva dei mutamenti. I figli erano divenuti adulti ed uno ad uno andavano a vivere nel nord dell’Italia per motivi di studio o di lavoro. In campagna la manodopera specializzata scarseggiava ed era sempre più difficile reperirla. Il contadino che per anni ci aveva dato una mano nella cura dell’oliveto, ormai in pensione, parlava di ritirarsi per sempre dal lavoro, per cui a malincuore Archimede decise di vendere il fondo ponendo definitivamente la parola fine a questo hobby che lo aveva tenuto impegnato per oltre vent’anni.



ciao Teresa Salvemini